Un post di ANTEO
The man machine” dei Kraftwerk è un disco di quarant’anni fa. Eppure, anche oggi, nell’ascoltarlo non si può non pensare ad un mondo di fantascienza, di robot, alieni ed astronavi. Un disco sempre futurista, quindi. Un disco senza tempo. La grandezza delle grandi opere d’arte.
Anche “Storia di un impiegato” di De André, lo è.
Purtroppo.
Non fraintendete, il grande De André (che viene definitivo dei suoi circa-ammiratori“poeta” quando lui stesso non gradiva tale definizione, perché supponeva che l’esser musicista fosse un qualcosa di meno dall’esser poeta) ci ha dato un disco troppo grande forse anche per lui. Da un punto di vista musicale, è un capolavoro senza tempo, a prescindere da generi ed inclinazioni (io definisco il Nostro un artista neofolk, ma ha poi importanza la deriva masturbatoria delle etichette? Non credo): molto più orchestrale e meno strumentale di altri suoi gioielli, ma non per questo meno diretto e incisivo (bellissimi i pattern di batteria).
“Storia di un impiegato” è un concept album: un romanzo diviso in capitoli (i singoli brani) che racconta una storia. La storia, appunto, di un impiegato, che vive gli anni della contestazione del ‘68.
Si trova a metà, imprigionato in una realtà farsesca e “democristiana” in cui in maniera meccanica si ripete grazie a dioe buon natale, mantra ormai completamente epurati di qualsiasi significato, e in cui anche l’amore è mera apparenza e convenzione sociale.
Un impiegato che decide poi di ribellarsi al potere: rinchiudersi nel proprio sconforto e uscirne sotto forma di bombarolo.
Quel potere, era il potere che Pasolini definiva anarchico: non c’è nulla di più anarchico del potere, perché esso fa quel che vuole e si disinteressa di ogni cosa al di fuori di se stesso.
Quel potere monolitico, che a fronte del gesto estremo del protagonista, addirittura lo ringrazia, per averlo, appunto, rinnovato.
Oggidì, questo grande album ci dà un cattivo pensiero.
Sono tempi, questi, di bullismo istituzionale.
La sopraffazione è il logico sbocco del comportamento del “vincente”, dell’uomo che raccoglie consensi e speranze.
Non colui che dialoga, dibatte, argomenta, ma colui che sbatte il telefono in faccia.
Purtroppo, il nostro paese si distingue per una desolante carenza di cultura ed educazione, sbandierata quale fosse un vessillo di cui andar fieri contro professoroni e parrucconi, gente da schernire e allontanare a cui, ovviamente, vengono preferiti bovari e agresti (no, gli speciali della tv di stato sull’impero romano e su Dante non bastano a darci una parvenza di dignità).
Tanta ignoranza (i popoli hanno sempre i governanti che si meritano) porta ovviamente a vedere nell’arroganza e nella superstizione la buona creanza.
I vaccini? Un danno, un’imposizione di Roma sugli schiavi.
WiFi gratis? La risposta a tutto.
Si sente di gente (sono 9 casi in circa due mesi) che spara “per sbaglio” agli immigrati.
Si percepisce e viene eretto a valore morale ed istituzionale il generale disprezzo per il proprio simile umano (se poi un po’ più scuro di noi perde qualsivoglia dignità umana), rimpiazzato ormai da una frenesia (quasi) patologica per questo o quell’animale domestico.
L’importante sono i social, la nostra dimensione avataristica che ci permette di evitare una vita vera a contatto con gli altri, reali, nostri simili.
Il demiurgo è colui che odia, raglia, disprezza, difende il metro quadro col forcone: Egli è l’insegnamento.
Il timoniere non guarda le stelle, guarda in basso, dice “questo è mio”.
Dagli àscari non si pretende alcunché. Gente beata di aver votato ancora la sicurezza, la disciplina, che fa vanto dei propri limiti e verso cui, in generale, la propria pochezza costituisce la risposta migliore.
Come Faber, ce la prendiamo con chi continuava a ripetersi non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno, arresteranno qualche studente.
Ce la prendiamo con chi, o per ignavia o per paura o per comodo, ha fatto strada all’istituzionalizzazione dell’ignoranza, del becero individualismo, del (appunto) bullismo istituzionale, foriero dell’aggressione sociale come regola di condotta.
A quelli del “male minore”.
A quelli del “che vuoi che sia”.
A quelli del “se lo fanno tutti”.
Basta un dito puntato contro per perdere la propria dimensione di lavoratore, di cittadino, di essere umano.
Ma attenzione, perché se tanto basta, così come la famosa campana, quel dito potrà essere puntato contro di voi.
Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.
Anteo